Quando la contrarietà al “buon costume” impedisce la registrazione del marchio UE? Una pronuncia della CGUE

Plico di riviste

All’esito del giudizio C-240/19 P, la Corte di giustizia dell’Unione Europea (“CGUE”), con sentenza del 27 febbraio 2020, si è pronunciata sulla nozione di “buon costume” quale impedimento assoluto alla registrazione di un marchio comunitario, con riferimento alla validità del segno distintivo “Fack Ju Göthe” (la “Sentenza”).

La nozione di buon costume riassume i canoni fondamentali di onestà, pudore e onore espressi dalla società in una data epoca. Il buon costume si atteggia come clausola generale in quanto il legislatore non specifica in cosa debbano concretamente tradursi questi canoni, ma lascia la loro concreta determinazione all’interprete. La scelta è consapevole, perché la morale muta e si evolve con il passare del tempo e la società di oggi può ritenere meritevoli di tutela atti che la società di ieri reputava contrari al buon costume, e viceversa.[1]

Pertanto la nozione di buon costume risulta individuabile, caso per caso, con riferimento alla contingenza storico/sociale e morale di una comunità.

Sul concetto di buon costume si è pronunciata altresì la giurisprudenza di legittimità.

Secondo la Suprema Corte: “La nozione di buon costume non si identifica soltanto con le prestazioni contrarie alle regole della morale sessuale o della decenza ma comprende anche quelle contrastanti con i principi e le esigenze etiche costituenti la morale sociale in un determinato ambiente e in un certo momento storico” (Cass. Civ., Sez. III, sent. n. 9941/2010).

E ancora: “La nozione di buon costume comprende in via generale tutti quei principi e tutte quelle esigenze etiche che costituiscono la morale sociale, a cui i consociati, complessivamente, uniformano i propri comportamenti, in un determinato contesto storico” (Cass. Pen., Sez. II sent. n. 14440/2007).

Ebbene, anche la CGUE con la Sentenza ha interpretato la nozione di buon costume quale assoluto impedimento alla registrazione di un marchio dell’Unione europea. Tale pronuncia conferma la relatività e la temporaneità del concetto di buon costume.

La ricorrente, Constantin Film Produktion GmbH, adiva la CGUE chiedendo l’annullamento della sentenza del 24 gennaio 2018 con cui il Tribunale dell’Unione Europea (T-69/17) respingeva il ricorso volto all’annullamento della decisione della V Commissione di ricorso dell’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (“EUIPO”) relativo alla registrazione del segno distintivo “Fack Ju Göthe” contestando anzitutto l’erronea interpretazione dell’art. 7, comma 1, lett. f) del Regolamento n. 207/2009 (il “Regolamento”).

La norma dispone che “sono esclusi dalla registrazione (…) f) i marchi contrari all’ordine pubblico o al buon costume”.

I prodotti e i servizi per i quali è stata chiesta la registrazione rientrano nelle classi 3, 9, 14, 16, 18, 21, 25, 28, 30, 32, 33, 38 e 41 ai sensi dell’Accordo di Nizza del 15 giugno 1957.

Il segno denominativo “Fack Ju Göthe” corrisponde peraltro al titolo di una commedia cinematografica tedesca di grande successo. La componente “Fack Ju”, foneticamente simile e dal significato analogo all’espressione inglese “Fuck you”, era stata ritenuta intrinsecamente volgare, idonea a turbare il pubblico di riferimento e, pertanto, contraria al buon costume.

A tale proposito, la CGUE rileva che la percezione della citata espressione inglese da parte del pubblico germanofono non è necessariamente identica alla percezione che ne ha il pubblico anglofono, poiché la sensibilità nella lingua madre è potenzialmente maggiore rispetto a quanto avviene in una lingua straniera.

Nell’esaminare i motivi del ricorso, la CGUE, dopo aver rilevato l’assenza di una nozione di ordine pubblico nel Regolamento, afferma che tale concetto deve essere interpretato alla luce del suo significato abituale e del contesto in cui esso è generalmente utilizzato.

Secondo la CGUE, la valutazione di un segno di cui è richiesta la registrazione come marchio dell’Unione europea volta a verificarne la contrarietà al buon costume nell’ambito dell’art. 7, comma 1, lett. f) del Regolamento richiede l’analisi di tutti gli elementi specifici del caso. Dovendosi intendere la percezione del pubblico di riferimento in rapporto ai valori morali della società in un dato momento storico.

A tal fine occorre considerare tutti gli elementi allegati dal richiedente a dimostrazione del fatto che il segno distintivo non sia percepito dal pubblico come contrario ai canoni fondamentali di onestà, pudore e onore espressi dalla società.

L’analisi del segno denominativo “Fack Ju Göthe”, al fine di valutarne l’eventuale contrarietà al buon costume, non può pertanto prescindere dall’esame degli elementi idonei a chiarire la percezione che dello stesso ha il pubblico di riferimento, quello germanofono dell’Unione ossia segnatamente quello di Germania e d’Austria.

La CGUE rileva come nel caso di specie il Tribunale dell’Unione Europea abbia omesso di considerare gli elementi in grado di chiarire il modo in cui il pubblico di riferimento percepisce il marchio stesso.

Come sottolineato infatti dall’avvocato generale (§ 94 delle sue conclusioni) tra questi elementi rilevano: il successo riscosso dall’omonima commedia presso il grande pubblico, la circostanza che il suo titolo non sembra aver dato adito a controversie, il fatto che sia stato autorizzato l’accesso del pubblico giovane alla visione della commedia e che il Goethe Institut utilizzi la commedia a fini pedagogici.

Dai predetti elementi, a giudizio della CGUE, è possibile desumere che il pubblico germanofono non percepisce il segno denominativo “Fack Ju Göthe” come moralmente inaccettabile e come tale incompatibile con il buon costume.

La CGUE ha accolto il primo motivo d’impugnazione volto a censurare l’erronea interpretazione ed applicazione dell’art. 7, comma 1, lett. f) del Regolamento compiuta dal Tribunale dell’Unione Europea, senza che fosse necessario esaminare gli ulteriori motivi dedotti dal ricorrente a sostegno dell’impugnazione.

Il giudizio del Tribunale dell’Unione Europea non doveva basarsi, come indicato dalla CGUE, su un giudizio meramente astratto sulla contrarietà al buon costume ai fini della registrabilità del segno “Fack Ju Göthe”.

La CGUE conclude statuendo l’annullamento della sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 24 gennaio 2018 (T-69/17), della decisione della V Commissione di ricorso dell’EUIPO (procedimento R 2205/2015-5) e condannando l’EUIPO a supportare le spese sostenute dalla Constantin Film Produktion GmbH relative ai due gradi di giudizio.

In conclusione, non è possibile tracciare delle linee guida generali tali da poter sistematicamente verificare l’idoneità di un segno distintivo a non essere contrario al concetto di buon costume di cui dell’art. 7, comma 1, lett. f) del Regolamento stante la relatività e la temporaneità di tale principio. Occorre effettuare una valutazione caso per caso di tutti gli elementi specifici per stabilire in che modo il pubblico di riferimento percepisca un segno potenzialmente contrario al buon costume qualora esso sia utilizzato come marchio per i prodotti o i servizi che sono oggetto della domanda di registrazione.

[1] Treccani Enciclopedia Online, cfr. “buon costume”.

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