Dopo la Cassazione anche la Corte di Giustizia: la parola “fine” al dibattito intorno a azione revocatoria e scissione societaria?
In rapida successione, con due pronunce conformi, la Cassazione prima (Cassazione Civile, Sez. I, 04 dicembre 2019, n. 31654), la corte di Giustizia UE poi (Sez. II, Sent., 30/01/2020, n. 394/18) intervengono a fornire una patente, vedremo quanto stabile, di piena ammissibilità dell’azione revocatoria promossa dai creditori della società scissa.
Lo scenario degli orientamenti giurisprudenziali in punto ammissibilità dell’azione c.d. pauliana aveva visto, particolarmente nell’ultimo decennio una stratificazione di pronunce di merito contrastanti ed allineate sostanzialmente su due posizioni antitetiche: la prima, minoritaria ma rappresentativa, che sostanzialmente valorizzava la preminenza della disciplina speciale in tema di fusione e di scissione societaria incentrata sul diritto di opposizione dei creditori sociali da esercitarsi nel breve termine di 60 giorni per escludere, proprio in ragione del principio di specialità ed a vantaggio degli effetti della scissione, l’esperibilità del rimedio generale previsto dall’articolo 2901 cc, la seconda posizione che – al contrario – stigmatizzando la stabilità degli effetti organizzativi e societari della scissione anche rispetto all’azione revocatoria (il cui esito produce unicamente l’inefficacia relativa delle attribuzioni patrimoniali effettuati in favore della beneficiaria nei limiti della soddisfazione del credito dell’attore), concludeva per la sua sicura ammissibilità.
In tale contrastato panorama della giurisprudenza di merito si innestano le due pronunce in commento, tra loro complementari, con cui – assai condivisibilmente a parere di chi scrive – i massimi giudici di legittimità all’unisono sfatano il mito dell’intangibilità degli effetti patrimoniali della scissione (e della fusione) societaria attraverso una precisa distinzione tra effetti societari e organizzativi e effetti dell’attribuzione patrimoniale.
In particolare, con l’ordinanza dello scorso dicembre la Cassazione, dopo aver diffusamente trattato i profili civilistici dell’eventus damni sotteso all’istituto dell’azione revocatoria ordinaria, entra nel merito dell’ammissibilità in astratto dell’azione con riferimento agli effetti patrimoniali della scissione societaria.
Com’è noto, ai sensi degli artt. 2506 ter, 2503 e 2502 bis c.c. il creditore della società scissa per contestare l’operazione è tenuto, a pena di decadenza, ad opporsi alla scissione nel termine di 60 giorni dal deposito della deliberazione di scissione nel Registro delle imprese.
Tuttavia, chiarisce la Corte di Cassazione, non può essere condivisa la tesi che pretenda di ricavare sistematicamente dalle norme codicistiche speciali, che precludono solo una dichiarazione di invalidità (per nullità o annullamento) dell’atto di fusione o scissione, l’inesperibilità dell’azione revocatoria prevista dall’art. 2901 c.c., il cui esito, notoriamente, non determina alcuna invalidità dell’atto ma la sua semplice inefficacia relativa rendendolo inopponibile al creditore che ne risulti pregiudicato.
Con un richiamo alla fonte comunitaria (e alle direttive 09/10/1978 n. 855 – 1978/855/CEE (art. 22) e 17/12/1982 n. 891 1982/891/CEE che verranno interpretate dalla pronuncia della Corte di Giustizia di poco successiva), l’ordinanza in commento ricorda che la disciplina degli artt. 2506 ter, 2503 e 2502 bis c.c. presuppone una fusione o scissione efficace, supera la distinzione fra nullità e annullabilità, accomunate nella nozione di invalidità, e mira ad evitare la demolizione dell’operazione di trasformazione e la reviviscenza delle società originarie, ma appare pienamente compatibile con la natura e gli effetti dell’azione revocatoria, strumento di conservazione della garanzia patrimoniale, che agisce sul registro della mera inopponibilità dell’atto al creditore pregiudicato, concludendo che “in difetto di adeguato fondamento normativo – da escludersi alla luce del riferimento alla categoria dell’invalidità e non a quelle dell’inefficacia e dell’inopponibilità – non può quindi ritenersi che l’opposizione che compete ai creditori sia un rimedio sostitutivo e necessario e non solo aggiuntivo rispetto all’esperimento dell’azione revocatoria ordinaria, di cui sussistano i presupposti”.
Sullo stesso principio insiste anche la Corte di Giustizia, chiarendo la portata delle direttive comunitarie alla base della (da lungo tempo) riformata disciplina delle fusioni e scissioni societarie.
In particolare, conclude la Corte di Giustizia “l’articolo 12 della sesta direttiva 82/891/CEE del Consiglio, del 17 dicembre 1982, basata sull’articolo 54, paragrafo 3, lettera g), del trattato e relativa alle scissioni delle società per azioni, come modificata dalla direttiva 2007/63/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 novembre 2007, in combinato disposto con gli articoli 21 e 22 della stessa direttiva 82/891, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a che, dopo la realizzazione di una scissione, i creditori della società scissa, i cui diritti siano anteriori a tale scissione e che non abbiano fatto uso degli strumenti di tutela dei creditori previsti dalla normativa nazionale in applicazione di detto articolo 12, possano intentare un’azione pauliana al fine di far dichiarare la scissione inefficace nei loro confronti e di proporre azioni esecutive o conservative sui beni trasferiti alla società di nuova costituzione” e che “l’articolo 19 della direttiva 82/891, come modificata dalla direttiva 2007/63, in combinato disposto con gli articoli 21 e 22 della stessa direttiva 82/891, il quale prevede il regime delle nullità della scissione, deve essere interpretato nel senso che esso non osta all’introduzione, dopo la realizzazione di una scissione, da parte di creditori della società scissa, di un’azione pauliana che non intacchi la validità della scissione, ma soltanto consenta di rendere quest’ultima inopponibile a tali creditori”.
Non sussistono, insomma, ragioni interpretative delle fonti di matrice europea che possano portare convincenti argomenti per escludere dalla tutela dell’actio pauliana i creditori della società scissa, riservando alle attribuzioni patrimoniali effettuate nell’ambito delle riorganizzazioni societarie un’ingiustificata esenzione dai principi generali in materia di tutela della garanzia patrimoniale dei creditori.
In conclusione, il ricorso ad operazioni di scissione societaria orientate ad alleggerire il peso dell’esposizione debitoria pregressa mediante il conferimento delle attività (o di gran parte di esse) in un nuovo soggetto “vergine” risulta giustamente (e ulteriormente) scoraggiato alla luce degli arresti citati, dai quali si ricava con chiarezza che la società beneficiaria non può fare affidamento sulla assoluta e definitiva intangibilità del proprio patrimonio per il solo decorso del breve termine di sessanta giorni previsto per l’opposizione dei creditori.