Sospendere l’ordinarietà della vita processuale era davvero la soluzione obbligata? Brevi riflessioni a margine del Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020
Sospendere tutto non “cura” niente: una premessa
Con l’ultimo decreto legge pubblicato lo scorso 17 marzo il governo italiano ha prescritto, tra le oltre cento disposizioni protese a “curare” l’Italia dagli effetti più disparati della dilagante epidemia da Covid-19, all’art. 83 la sospensione pressoché “totalizzante” dei procedimenti già pendenti e “potenziali” in ambito di giustizia civile, penale, tributaria e militare.
La mia attenzione si concentrerà su alcune ripercussioni della misura dei procedimenti civili non ritenendo, meno che mai in questo già periglioso frangente, di avventurarmi in ambiti procedurali da me poco o per nulla esplorati con passo sicuro e prudente.
Volutamente adotterò un lessico il più possibile poco tecnico e piano – chiedo ammenda a giuristi e giurisperiti – affinché le mie riflessioni possano raggiungere chi cultore e/o operatore del diritto civile non è ma parte di un procedimento pendente o “che verrebbe” sì.
Ebbene, secondo l’art. 83 dell’ultimo decreto-legge, dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020 le udienze dei procedimenti civili pendenti presso tutti gli uffici giudiziari sono rinviate d’ufficio (per ora) a data successiva al 15 aprile 2020 così come è da ritenersi sospeso il decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili.
Al comma 3 il legislatore d’urgenza ha previsto l’esenzione di alcuni procedimenti da tale draconiana sospensione.
Sennonché, in questa mia breve riflessione il focus si concentra, in un frangente emergenziale e di adozione di misure cautelative, sull’ordinarietà che finisce per decreto-legge inappellabilmente sospesa.
E non soltanto, come già previsto nel decreto-legge n.11/2020 si impone la sospensione all’ordinarietà pendente – mi si passi l’espressione irrituale anche per un ordinario operatore del diritto quale ritengo di essere – ma anche all’ordinarietà incipiente o che verrebbe (perché per decreto legge tale ordinarietà non verrà almeno fino al 15 aprile prossimo).
Già perché oltre che ai procedimenti civili pendenti alla data di efficacia del decreto-legge “Cura Italia” la disposizione di cui all’art. 83 trova applicazione anche “per la proposizione degli atti introduttivi del giudizio e dei procedimenti esecutivi, per le impugnazioni” (così il comma 2).
Il contesto processuale civile italiano pertanto vede a far data dal 18 marzo 2020, fatto salvo quanto previsto dal comma 3:
a) un rinvio di ufficio di larghissima parte delle udienze che trattino le materie e che seguano riti altri rispetto a quelli esentati di cui al comma 3 dell’art.83;
b) una sospensione generale e indiscriminata di tutti i termini procedurali pendenti;
c) una inibizione all’introduzione di nuovi giudizi ordinari fino al 15 aprile 2020.
Dal legiferare al non depositare c’è di mezzo l’arenare i processi
Al fine di soppesare l’effetto che tali draconiane prescrizioni hanno sull’incedere della gestione degli affari civili italiani si sottopongono due casi per chi scrive tanto emblematici proprio perché di comune ricorrenza.
In un procedimento civile di cui è parte una mia assistita avente ad oggetto la cessazione di un rapporto contrattuale di distribuzione è decorrente dal 2 marzo scorso il termine ex art. 183, comma 6, n.3 del codice di procedura civile di 20 giorni: si tratta dell’ultimo passaggio della istruttoria di una causa civile che precede la celebrazione dell’udienza dinanzi al Giudice che disporrà se e che in termini ammettere le istanze di prova avanzate dalle parti in causa.
Ebbene: in forza dell’art. 83 del Cura Italia tale termine in scadenza al 23 marzo prossimo deve ritenersi sospeso a far data dal 9 marzo scorso e potrà riprendere la sua “corsa” dal 16 aprile prossimo.
Anche l’udienza di ammissione dei mezzi istruttori è da ritenersi soggetta a rinvio d’ufficio a dopo il 16 aprile prossimo.
A tal punto ci si interroga perché mai si assoggetti alla misura sospensiva anche termini per il deposito di atti difensivi “tecnici” il cui adempimento è interamente rimesso all’attività del professionista, non richiede spostamenti né li avrebbe richiesti fuori dall’attuale contesto sanitario.
Quale precauzione, quale tutela curativa è sottesa a beneficio delle parti in causa e dei loro avvocati difensori nella “sterilizzazione” di tale termine?
Come noto ai miei colleghi, così come a chi è parte attenta di un procedimento civile ordinario, la redazione di una memoria istruttoria (ed in generale di un atto difensivo) richiede, oltre che la perizia e la buona volontà di chi la redige, attitudini che, salvo comprovate ragioni di salute dell’avvocato, non saranno menomate in tutto o in parte nemmeno in tempo di epidemia,
(i) un personal computer,
(ii) i codici civile e di procedura civile
(iii) una connessione internet
(iv) un accesso ad una banca dati, qualora possa necessitare al difensore la consultazione della dottrina o della giurisprudenza per avversare le allegazioni e le istanze avversarie,
(v) il fascicolo della causa,
(vi) un accesso riservato al sistema di accesso al processo telematico del Ministero della Giustizia.
Bene, un avvocato che avesse voluto cautelativamente astenersi dal recarsi presso il proprio studio professionale in tempo di epidemia per svolgere la sua attività disporrebbe ragionevolmente di tutto quanto elencato ai §§ (i)-(v) nel proprio domicilio e, quanto al § (vi), qualora non avesse provveduto opportunamente ad installare il software per l’accesso al sistema di gestione del processo telematico, potrebbe, a legislazione emergenziale vigente, in forza di comprovate esigenze lavorative, recarsi in studio con ogni precauzione per eseguire il deposito telematico e acquisire la memoria istruttoria di parte avversaria.
Quanto appena rappresentato vale per la predisposizione ed il deposito di qualsivoglia atto difensivo e relativa documentazione.
Né, per altro verso, in vista della predisposizione di un atto difensivo endoprocedimentale, è necessario incontrarsi personalmente con la parte assistita per consultarla in merito alla condivisione della strategia difensiva o per l’acquisizione di documentazione da depositare unitamente all’atto difensivo.
E così come un avvocato è, nell’anno del Signore 2020, perfettamente in grado di svolgere la sua attività di redazione di un atto giudiziario persino nel suo tinello, un magistrato “destinatario” dell’atto potrà analogamente prenderne visione così come redigere ed emanare provvedimenti.
Si potrebbe obiettare che, stante il rinvio d’ufficio dell’udienza di ammissione dei mezzi di prova a data successiva al 15 aprile 2020 (nel caso di specie l’udienza era fissata al 6 aprile prossimo), sarebbe irrilevante lasciare la decorrenza del termine al suo corso naturale dal momento che comunque il giudice non potrà assumere alcun provvedimento sulle istanze probatorie avanzate nelle memorie istruttorie prima di una certa data successiva al 15 aprile prossimo.
Obiezione accoglibile in base all’art. 83 comma 1, ma potenzialmente respingibile laddove potesse trovare applicazione la disposizione di cui al comma 7, lett. f) dell’art. 83 senza il richiamo al perseguimento delle finalità di cui al comma 6 (vale a dire il contenimento degli “effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria, per il periodo compreso tra il 16 aprile e il 30 giugno 2020”).
Già, perché per le udienze fissate entro la data del 15 aprile 2020 – salvo quelle inerenti le materie e le questioni procedurali “protette” – la cesoia della sospensione è irremovibile.
Non è peregrino constatare che l’udienza di discussione sull’ammissione dei mezzi di prova avanzati dalle parti – che non richiede affatto la presenza di soggetti diversi dai difensori e dalle parti – potrebbe, infatti, aver luogo mediante collegamenti da remoto senza pregiudizio alcuno del contraddittorio.
Insomma, con un po’ di buona volontà e con il ricorso a mezzi telematici alla portata di tutti e già previsti in uso dal Ministero della Giustizia il procedimento potrebbe andare avanti con lo svolgimento dell’udienza del 6 aprile 2020 senza ledere né la salute degli attori qualificati del processo né i principi cardine del processo civile.
Il rinvio alle calende curative: verso l’ingorgo dell’anno giudiziario che verrà
Un altro effetto distorsivo del corso già accidentato della giustizia civile è ravvisabile nella limitazione del tutto discrezionale alle sole udienze programmate dal 16 aprile al 30 giugno 2020 della facoltà di “svolgimento delle udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti mediante lo scambio e il deposito in telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni, e la successiva adozione fuori udienza del provvedimento del giudice” (così l’art. 83, comma 7, lett. h).
Tra le udienze che possono essere “trattate” ai sensi della previsione appena riportata rientra senza dubbio l’udienza di precisazione delle conclusioni, udienza già di per sé di sempre più evanescente pregnanza processuale per la quale i difensori delle parti depositano anticipatamente in modalità telematica un “foglio” “contenente le sole istanze e conclusioni”.
Ed è proprio sulla scorta delle suddette istanze e conclusioni che il Giudice, dispensando i difensori delle parti dalla discussione orale – salvo rarissime eccezioni – trattiene la causa in decisione assegnando alle parti i termini per il deposito degli scritti conclusionali a seguito del quale il Giudice emetterà la sentenza a definizione del procedimento.
È successo allo scrivente che un’udienza di precisazione delle conclusioni di un procedimento – istruito esclusivamente su base documentale – prevista per il 24 marzo prossimo sia stata rinviata d’ufficio in data 18 marzo scorso al 15 settembre 2020 in osservanza del “Cura Italia”.
Qualora il Giudice fosse stato nelle condizioni di poter applicare la previsione di cui al comma 7 dell’art. 83, lett. h) senza dover perseguire esclusivamente le finalità di cui all’art. 83, comma 6, avrebbe disposto con ordinanza fuori udienza di trattenere in decisione la causa riconoscendo alle parti la facoltà di depositare entro il prossimo 23 maggio e 12 giugno 2020 gli scritti difensivi conclusionali, sì da poter il Giudice al più tardi nel corso del mese di settembre 2020 depositare la sentenza.
Il rinvio d’ufficio del “Cura Italia” comporta concretamente nel caso di specie:
a) lo svolgimento dell’udienza al 15 settembre 2020 senza che sussista una comprovata ragione che non possa ricorrersi a quanto previsto dall’art. 83, comma 7, lett. h) del decreto legge se non per il vincolo di cui al comma 6 del medesimo articolo;
b) uno slittamento dei termini per il deposito degli scritti difensivi conclusivi al 14 novembre ed al 3 dicembre 2020;
c) un possibile deposito della sentenza non prima del mese di marzo 2021.
L’effetto “Cura Italia” già solo per questo paradigmatico procedimento è la definizione del giudizio con circa 6 mesi di differimento senza che lo stesso trovi giustificazione nella tutela della salute degli operatori del diritto coinvolti né delle parti.
E sia che le parti siano persone fisiche ovvero una o entrambe società l’effetto certo è l’incomprensibile incertezza per l’anno 2020 delle sorti delle proprie pretese creditorie o delle proprie posizioni debitorie sulle quali pende l’alea del giudizio sospeso e rinviato, incertezza che comporterà per il creditore di non poter avere nei tempi previsti un provvedimento giudiziario che riconosca o meno la sua pretesa e per il debitore di dover -laddove diligente – accantonare nel fondo rischi personale o della propria azienda la potenziale passività.
Conclusioni provocatorie (e malgrado tutto ce la faremo)
Tre ultime provocazioni per completare il quadro dipinto con malposta urgenza dal legislatore in stato di emergenza epidemica che assume tutto l’aspetto di un penoso bollettino medico di un paziente – quale è cronicamente la giustizia civile italiana – che avrebbe bisogno di ben altre cure programmatiche e non avventate.
Che dire della sospensione della decorrenza dei termini per il deposito degli scritti difensivi conclusivi (il cui termine iniziale di decorrenza ad esempio è il 12 febbraio scorso) in un procedimento che vede convenuti da una società fallita tutti i componenti del consiglio di amministrazione per un’azione di responsabilità?
La sospensione del “Cura Italia” comporterà il protrarsi dell’alea del giudizio di circa poco più di un mese – tenuto conto del periodo di sospensione della decorrenza del termine dal 9 marzo al 15 aprile 2020 – senza che alcuna esigenza di salute sia da perseguirsi a tutela delle parti tutte coinvolte nel procedimento.
Ed infine che dire della sospensione del diritto ad agire – sia esso per impugnare una sentenza ritenuta meritevole di riforma o per l’introduzione di un giudizio – a far data dal 9 marzo e fino al 15 aprile 2020?
E della sospensione del diritto a promuovere un’azione esecutiva – una su tutte un pignoramento – per lo stesso periodo con un protrarsi dei tempi di soddisfacimento delle pretese riconosciute come fondate dall’Autorità giudiziaria?
Gli effetti – distorsivi per chi scrive – di questa “cura da cavallo”, imposta dal legislatore d’urgenza – senza alcuna tangibile esigenza superiore di messa in sicurezza della salute – all’incedere della giustizia civile producono nell’immediato una ulteriore quarantena (in questo caso giudiziale) a cittadini, imprese e operatori del diritto, già gravati ed avviliti dalla quarantena (o dalla “libertà contingentata”) disposta per finalità di sanità pubblica preventive, cautelative o curative, accentuando le disfunzioni e i ritardi del sistema giustizia civile.
Non solo, ma si aggraverà – quando i tempi saranno migliori – la gestione della mole di contenziosi pendenti e insorgendi, perché tenuti in incubazione, in questa disgraziata primavera, nonché di quelli futuri, con pesanti ed al momento imprevedibili ripercussioni sia sulla tenuta dell’amministrazione della giustizia civile che sulla “vita” di cittadini ed imprese quali parti del processo, di avvocati e magistrati come attori dello stesso.
Né si confida in una sostanziale modifica delle misure in sede di conversione in quanto le stesse avranno già esplicato i loro più irreversibili effetti sui “pazienti” quando il decreto diverrà legge dello Stato.
E non resterà ad avvocati e magistrati che abbozzare raccogliendo le frustrazioni delle parti del processo, contenere le proprie e rientrare gradualmente dalle corsie emergenziali di isolamento dei tempi epidemici.