Assumere il personale qualificato di un concorrente? Lo spartiacque tra ordinaria pratica di recruiting e illecito anticoncorrenziale è tracciato dai giudici

Sagome di uomini in legno attratti da una camita

È assolutamente fisiologico che un’impresa alla ricerca di personale qualificato rivolga il proprio interesse – così fanno del resto anche le società di head hunting – a risorse in forze a un’altra impresa operante nel medesimo settore. Altrettanto fisiologico è che il personale di un’azienda ricerchi alternative alla propria situazione occupazionale (accompagnate o meno da avanzamenti di carriera) presso imprese concorrenti al proprio datore di lavoro.

Tale fenomeno, determinato da banali esigenze di capitalizzazione delle competenze maturate in uno specifico settore, può rivestire gli estremi della concorrenza sleale e divenire fonte di responsabilità per l’impresa che assume.

Quali sono, dunque, gli indicatori di un possibile comportamento illecito

Notoriamente, la fattispecie di concorrenza sleale mediante storno di dipendenti è disciplinata dall’art. 2598, primo comma, n. 3 c.c. che vieta ad un’impresa di esercitare la propria attività – e quindi anche di assumere dipendenti di un concorrente – in modo “non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda”.

Come emerge dal tenore della norma, pertanto, perché si realizzi la fattispecie di concorrenza sleale per storno di dipendenti, dunque, l’attività distrattiva in danno del concorrente deve essere attuata con modalità illecite, tali da non ammettere giustificazione in rapporto ai principi di correttezza professionale, se non presupponendo nell’autore l’intento di danneggiare l’organizzazione e la struttura produttiva altrui.

In assenza dell’animus nocendi, pertanto, ossia dell’intento di danneggiare l’impresa concorrente, non potrà ritenersi di per sé illecita la mera assunzione di personale proveniente da un’impresa concorrente in quanto, per i principi costituzionalmente garantiti della libera circolazione del lavoro (art. 4 Cost.) e della libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost.) in via generale qualunque impresa, è libera di assumere dipendenti che hanno lavorato presso un’impresa concorrente, adottando le strategie e tecniche che ritenga più efficaci e opportune per avvantaggiarsi sui propri competitor; come pure qualunque lavoratore è libero di dimettersi dall’impresa in cui lavorava e iniziare a lavorare presso un’impresa concorrente (salvo che abbia stipulato un patto di non concorrenza).

Il discrimine tra la lecita acquisizione di lavoratori da parte di un’impresa, frutto di una dinamica fisiologica del mercato e ciò che invece costituisce un illecito atto di concorrenza sleale, sotto forma di storno di dipendenti è dunque rappresentato dall’animus nocendi ossia dall’intento di danneggiare l’impresa concorrente, denunciato da una condotta oggettivamente e inequivocabilmente idonea ad arrecare il danno.

L’animus nocendi, infatti, viene inteso non come elemento psicologico, bensì come situazione oggettiva che si ritiene sussistente quando all’esito di un’analisi del caso specifico, emergano una serie di indici dai quali risulti che:

– l’impresa (stornata) a causa delle modalità con cui il concorrente (sleale) si è appropriato dei suoi dipendenti e collaboratori, vede messa a rischio la continuità aziendale nella sua capacità competitiva ovvero a causa delle alterazioni provocate oltre la soglia di quanto possa essere ragionevolmente previsto, abbia subito uno shock sull’ordinaria attività di offerta di beni o servizi non riassorbibile attraverso un’adeguata organizzazione dell’impresa (Trib. Milano, 1° settembre 2021, n. 7064; Tribunale Milano, 22 marzo 2019, n.2822; Trib. Milano, 28 gennaio 2019; Trib. Milano, 10 agosto 2016 e 24 ottobre 2016);

– l’impresa (stornante), attraverso il passaggio dei dipendenti, appropriandosi del loro modus operandi, delle conoscenze tecniche, burocratiche e di mercato da essi acquisite di cui acquisisce, vanifica lo sforzo di investimento del suo antagonista, creando nel mercato l’effetto confusorio, o discreditante, o parassitario capace di attribuire ingiustamente, a chi lo cagiona, il frutto dell’investimento (Trib. Torino, 6 marzo 2020; Cass. 17 febbraio 2020, n. 3865;  Cass. 31.3.2016 n. 6274; Cass. 4 settembre 2013, n.20228; Cass. 8 giugno 2012 n. 9386).

La giurisprudenza di merito ha, peraltro, individuato alcuni indici presuntivi dai quali è possibile desumere la sussistenza dello storno illecito di dipendenti (richiamati nella recente sentenza del Trib. Milano 10 gennaio 2022, n. 73), quali:

i) il numero dei dipendenti stornati rispetto alla struttura aziendale: tale dato quantitativo non è solo di per sé significativo, ma deve essere valutato alla luce dell’organigramma aziendale del soggetto che subisce lo storno, anche eventualmente in relazione alle unità operative che hanno subito la fuoriuscita di personale, al fine di valutare se lo storno ha avuto un impatto negativo superiore alla normale dinamica di mercato ( Milano, 22 marzo 2019, n. 2822 che ha ritenuto realizzato l’illecito nel caso di storno, in un arco temporale di pochi mesi, di otto dipendenti, pari al 50% dell’organico dell’impresa stornata, almeno uno dei quali di non agevole sostituzione; Trib. Milano 28 gennaio 2019 che ha ritenuto indice dell’illecito lo storno di 7 dipendenti a fronte di un organico che contava meno di 30 dipendenti; Trib. Milano 24 ottobre 2016, n. 11660);

ii) l’arco temporale entro cui si è realizzato il passaggio di dipendenti: benchè il tempo nel quale si consuma l’illecito svolga in sè un ruolo probatorio neutro, esso assume invece un autonomo rilievo indiziario ove messo in relazione alla struttura aziendale ed alla qualificazione tecnico-commerciale dei dipendenti stornati rispetto a quelli rimasti (Trib. Milano 22 marzo 2019, n. 2822; Trib. Milano 28 gennaio 2019; Trib. Milano 24 ottobre 2016; Trib. Milano 3 marzo 2014, n. 2949);

iii) le modalità con cui si è svolto il passaggio: risulta illecito il passaggio che è la conseguenza di una sollecitazione del concorrente o dell’utilizzo di mezzi subdoli e scorretti o della denigrazione del datore di lavoro (quindi, sono considerati mezzi leciti l’assunzione tramite un annuncio di lavoro, tramite candidatura spontanea o primo contatto da parte del dipendente; o ancora quando il rapporto di lavoro venga interrotto volontariamente ed autonomamente dal dipendente o quando tale rapporto si sia naturalmente estinto e non voglia più̀ essere rinnovato dal dipendente stesso: cfr. Trib. Milano 10 gennaio 2017, n. 143; Trib. Milano, 18 agosto 2016, n. 9651). In ogni caso, secondo alcune decisioni, ai fini dell’integrazione dell’illecito, non è necessaria la prova della pressione esercitata dal nuovo datore di lavoro sugli ex dipendenti della concorrente quando il quadro indiziario (e quindi tutti gli altri elementi citati) depone inequivocabilmente per una condotta non conforme alla correttezza professionale (Cass. n. 6274/2016; Cass. n. 20228/2013; Trib. Milano, 22 marzo 2016, n. 3663).

iv) la posizione, il ruolo strategico, la qualifica e l’utilità dei dipendenti stornati (Cass. 17 febbraio 2020, n. 3865; Trib. Milano 28 gennaio 2019; Trib. Milano 10 gennaio 2017, n. 143; Trib. Milano, 22 marzo 2016, n. 3663).

È chiaro dagli indicatori appena evidenziati, piuttosto inequivoci, che – al netto e in assenza di specifiche obbligazioni contrattuali di non fare che impegnino il lavoratore o il datore di lavoro nell’ambito di patti di non concorrenza – la migrazione di risorse umane tra imprenditori concorrenti è considerata illecita solo al ricorrere di circostanze che consentano di attribuire al fenomeno finalità ed effetti anomali, incompatibili con sane dinamiche di mercato e di libera concorrenza.

Questo stesso principio viene riassunto da ultimo dall’ordinanza n. 22625 del 19 luglio 2022 con cui la Corte di Cassazione attraverso una rielaborazione sistematica dei precedenti in materia (tra i quali quelli citati sopra) ha sintetizzato che per la configurabilità di atti di concorrenza sleale commessi per mezzo dello storno del personale di un imprenditore concorrente, è necessario che “l’attività distruttiva delle risorse di personale dell’imprenditore sia stata posta in essere dal concorrente con modalità tali da non potersi giustificare, in rapporto ai principi di correttezza professionale, se non supponendo nell’autore l’intento di recare pregiudizio all’organizzazione ed alla struttura produttiva del concorrente, disgregando in modo traumatico l’efficienza dell’organizzazione aziendale del competitore e procurandosi un vantaggio competitivo indebito”.

In definitiva, il libero gioco della concorrenza è sempre sovrano, a patto che i concorrenti usino lo strumento del recruiting di nuove risorse per le finalità ad esso proprie e con modalità e intensità proporzionate allo scopo.